BEYOND THE GARDEN GATE
ARTSHOPPING 2018 Salon International d'Art Contemporain
Paris, Carrousel du Louvre 25-26-27 maggio 2018
“BEYOND THE GARDEN GATE”, la nuova mostra che B.Zanconato propone al Carrousel du Louvre di Parigi in occasione dell’appuntamento primaverile di ArtShopping 2018, rappresenta un riepilogo del discorso che l’artista ha sviluppato nelle sue più recenti esposizioni, in particolare “Teshuvà” e “Der Suchende”. Dopo aver mostrato alcune delle contraddizioni che caratterizzano l’attuale società, dopo aver evidenziato come l’apparenza rappresenti la sostanza di tante questioni, l’artista rivolge il suo sguardo più lontano, oltre il perimetro della prevalente visione del mondo ……
“Beyond the garden gate”, la prima opera del nuovo percorso espositivo, dà il titolo alla mostra e ne rappresenta la chiave di lettura. L’opera si compone di due principali elementi in tensione tra loro: il primo, un residuo di porta o di cancello, regge ulteriori elementi tra i quali spiccano uno specchio rotto e due cartelli riportanti la scritta No Entry; il secondo è costituito da una sedia multicolore, ricoperta di caratteri grafici e di scritte. Tutto, come sempre nel caso della produzione artistica di B.Zanconato, si gioca a livello simbolico. Da una parte, la barriera rappresentata dalla porta che, pleonasticamente, regge i cartelli di divieto di accesso. Ma a ben vedere, più che uno sbarramento, quello che ci viene presentato è in invito ad entrare (o uscire): la porta ed i cartelli, infatti, portano i segni evidenti del tempo e delle sue conseguenze, ad indicare una situazione del passato, datata e da superare. E sulla porta sono appoggiate delle catene sciolte, traccia di una libertà conquistata.
Dall’altra, la sedia a simboleggiare una situazione di immobilità se non di comfort, rappresentazione di una situazione di comodo e di stallo ricavata all’interno di un recinto di certezze assunte e mai messe in discussione (emblematica, a questo proposito, una delle scritte sulla seduta che recita: ”Costruiamo inferriate attorno ad un arido e povero fulcro, mentre là fuori, intorno ad esse e contro di esse, si agitano i nostri moti irrazionali, ai quali non concediamo però diritto di accesso” ).
È facile osservare che l’opera si presta a molteplici livelli interpretativi che si possono collegare, da una parte, alla situazione geopolitica internazionale, nella quale le barriere, anche doganali, sembrano tornare fortemente d’attualità. Ma, d’altro canto, il tempo modifica le cose e le situazioni per cui, di fronte a momenti di profondo cambiamento come quelli che stiamo vivendo, occorre aprire l’orizzonte e superare la “solita” ricetta dei tempi passati.
Allo stesso modo, l’opera è simbolo anche di un dilemma che riguarda il singolo, alle prese con i molteplici cambiamenti che si sono imposti, a tutti i livelli, nella vita quotidiana. E questa svolta epocale richiede una rianalisi se non una revisione completa dei paradigmi della vita e dei valori su cui si basa. Questo è l’invito dell’artista: quello cioè di non aver timore di andare alla ricerca di una soluzione nuova ai problemi ed alle difficoltà di oggi; di non aver paura di modificare o sovvertire visioni del passato che, alla luce dei cambiamenti in atto, si rivelano inadatte e superate; e da qui l’esortazione a non stare fissi su posizioni sorpassate, tradizionali, “di comodo”.
“Beyond the garden gate” rimanda a sua volta ad una piccola scultura dal potente impatto emotivo “Roots”. “Roots” affronta un tema estremamente caro all’artista: quello dell’imprinting familiare e dell’educazione nell’infanzia, dei vincoli dati dalle tradizioni e dai legami familiari.
Il simbolismo qui si sviluppa attraverso una molteplicità di prospettive e di significati di fondo. Ma, senza scendere nel dettaglio dell’interpretazione puntuale della scultura, la questione che viene posta è sul significato profondo dell’educazione e dell’amore parentale: si tratta infatti di educare al rispetto di regole e di norme che hanno lo scopo principale di uniformare il bambino ai dettami familiari e sociali, eventualmente bloccandone e deviandone l’indole e le predisposizioni (per non parlare dell’autostima), oppure, al contrario cercare di individuare e poi sviluppare i suoi aspetti caratterizzanti, le sue predisposizioni, la sua diversità ed unicità? Certo questa seconda possibilità risulta meno comoda, più dispendiosa in termini di energie e di attenzioni, ma non porrebbe le basi per uno sviluppo forte e pieno della futura personalità di adulto oltre che più arricchente per chi ne segue via via gli sviluppi? Non sarebbe, un modo per coltivare le nuove generazioni dando loro solide basi per lo sviluppo di una forte autonomia ed un esempio di apertura e di valorizzazione delle diversità senza costringerle entro schemi precostituiti, spesso retaggio di passati lontani oggi non più attuali?
La costrizione e la schematizzazione entro modelli precostituiti rappresenta il tema centrale di un’altra opera in mostra: “WHAT’S YOUR NUMBER?” una sorta di scultura murale, un casellario in cui tanti e diversi numeri si trovano all’interno di cellette. Tra questi, alcuni “numeri primi”, si trovano rinchiusi all’interno di vere e proprie gabbie. Sui lati dell’opera la domanda provocatoria “What’s your number?”, qual è il tuo numero?
Se “Roots” pone uno sguardo sulle relazioni che il singolo, nei suoi primi anni di vita, stabilisce coi primi ambienti sociali con cui viene a contatto, la famiglia e poi la scuola, “WHAT’S YOUR NUMBER?” affronta il tema del difficile, spesso conflittuale, rapporto singolo-società: di come, da una parte la società cerchi di ridurre il singolo ad un numero, ad una entità astratta e spersonalizzata da gestire ed inquadrare, affinché lo stesso algoritmo valga per tutti, in modo che le statistiche vengano più facilmente riempite ed i dati più agevolmente raccolti. E dall’altra, di come il singolo si trovi a vivere inquadrato in una sua casella, entro uno spazio privato e vitale nel quale poter esprimere la propria vera personalità ma che diviene sempre più piccolo e stretto. Alcuni, forse tanti, non si ritrovano in questa logica di sistema spersonalizzante e, come i numeri primi della rappresentazione dell’artista, si sentono in gabbia.
“SIAMO SOLO NOI”, è la rappresentazione del grido di solitudine di questi “numeri primi” realizzata mediante la forma espressiva tipica della ribellione urbana: il graffito. Ed in effetti, il gesto del writer dà perfettamente conto dell’esigenza di affermazione della propria individualità, dell’affermazione della propria diversità (come quella dei numeri primi, appunto) all’interno di un mondo che tende ad omologare tutto e tutti.
“WHAT’S YOUR NUMBER?” e “SIAMO SOLO NOI” sono opere che pongono la questione sul senso del vivere sociale, se, cioè, lo scopo della società sia quello di uniformare il pensiero e l’agire del singolo o se, diversamente, non siano la società e le strutture sociali a dover evolvere, a doversi adattare e mettersi al servizio delle esigenze dei singoli componenti, valorizzandone la diversità e la pluralità per consentirne la realizzazione.
E questo trova un rimando in un un’altra opera in mostra: “NONSENSE”. Se in “WHAT’S YOUR NUMBER?” il punto di vista prevalente è quello della società che tende ad azzerare le differenze tra le persone per ridurle a puri elementi sui quali operare dei trattamenti algebrici di omologazione, salvo isolare gli elementi refrattari e renitenti, in “NONSENSE”, come in “SIAMO SOLO NOI”, il punto di vista è quello del singolo che, vedendo la propria vita incanalata in un solco già tracciato, si pone la questione dolorosa del senso stesso del proprio essere.
“Ma – dice B.Zanconato – se la mentalità e l’educazione, in famiglia ed in società, ribaltassero la prospettiva e se la diversità diventasse un valore anziché un limite, se le diverse capacità e predisposizioni dei singoli fossero incoraggiate sin dall’infanzia e lasciate libere di svilupparsi e realizzarsi, se l’ambiente (sociale) fosse fertile e pronto ad accogliere il nuovo, se non ci fossero inutili impedimenti burocratici ad ostacolare e ad impedire l’intraprendenza e la creatività umana, ecco che, allora, la questione del senso delle cose, della propria esistenza, acquisterebbe una valenza completamente diversa. In fondo, quello che vediamo dipende dalle lenti che indossiamo ( o che ci hanno fatto indossare) ”.
E l’opera intitolata “DEPENDE” rende perfettamente, in maniera artistica, il concetto appena espresso: un ready-made sul quale, con minuziosi interventi pittorici, B.Zanconato ha rappresentato e reso il completo cambio di prospettiva e di scenario a seconda del punto di osservazione.
Un’altra creazione dal titolo “ARE yOu H@PpY?” provocatoriamente adagiata sul pavimento della mostra, come una sorta di zerbino da calpestare, pone una scomoda domanda: sei felice?
“Tutti parlano di felicità. A dar retta alla pubblicità, il solo acquisto del tal prodotto ti darà la felicità. Fa parte dell’immaginario collettivo il fatto che la felicità sia collegata al conseguimento di un certo livello economico e sociale. Addirittura i nuovi indicatori che sostituiranno il PIL degli Stati terranno conto della “felicità media” (come se questa potesse essere misurata, quando già definirla è un problema!). Eppure, forse, potrebbe essere sufficiente osservare le persone, le loro espressioni, al mattino, in attesa dell’arrivo della metropolitana in una delle grandi città europee, per vedere che molte di loro non sono felici nonostante il bell’abbigliamento, il buon lavoro e, di conseguenza, il buon reddito e tenore di vita.
Ma, forse, la loro vita è troppo frenetica, troppo veloce e carica di impegni per trovare il tempo di porsi questa domanda… Lo sguardo fisso a terra mentre camminano per arrivare in orario: per questo ho posto “ARE yOu H@PPY?” sul pavimento. Vorrei cercare, almeno per un attimo, di arrestare il loro ritmo frenetico ed incessante e portarle a riflettere su loro stessi.”
Le parole dell’artista portano ad un’altra delle sue opere presentate al Corrousel du Louvre: “takE YOuR TimE”, un invito a riservare tempo per noi stessi, a prenderci una pausa dalla frenesia del correre quotidiano per fermarci ad ascoltare le voci che si agitano ed urlano nel profondo del nostro essere. Si tratta certamente di un gesto importante: porsi le questioni sulle cose della vita per trovare una propria risposta.
In fondo, se abbiamo accettato di prenderci cura della nostra salute fisica e del nostro corpo, spendendo parte del nostro prezioso tempo in palestra o a correre nel parco, perché non prenderci cura del nostro benessere interiore, del nostro spirito, dedicando un po’ di tempo a riconoscere e a dare sfogo alle nostre sensazioni più profonde? a riflettere sui nostri comportamenti e sui nostri valori? a percepire quello che si agita in noi di fronte ai problemi che ci pone la vita contemporanea? a valutare e a decidere quello che noi vogliamo veramente? a dare un nostro significato alle cose?
I temi di “ARE yOu H@PPY?” e “takE YOuR TimE” aprono spunti diversi che si ritrovano in altri lavori in esposizione. “BLA BLA BLA” affronta il tema della comunicazione nella sfera pubblica, del bombardamento di promesse più o meno sottintese a cui siamo soggetti su vari fronti della nostra vita quotidiana. A cominciare dal marketing e dalla pubblicità che, come detto, offrono la felicità in cambio dell’acquisto del tal oggetto o prodotto; per continuare con la politica, che ha istituzionalizzato la promessa vana, a cui normalmente segue una serie di acrobazie dialettiche atte a dimostrarne la coerenza (teorica).
“BLA BLA BLA” è la rappresentazione della perdita di significato di tanti discorsi, se non di gran parte del linguaggio corrente, nei quali l’estetica dell’espressione ha sempre il sopravvento sul contenuto per cui il confronto dialettico, che potrebbe aver lo scopo di migliorare le posizioni iniziali delle due parti, diventa scontro di eloquenze con l’evidente obiettivo di prevalenza sull’avversario. Un mondo nel quale la parola ha preso una distanza tale dal suo significato da aver perso il suo senso proprio per averne acquisito uno nuovo, spesso strumentale. Per questo siamo immersi in un mondo di chiacchiere (da qui il titolo onomatopeico dell’opera). La via di uscita suggerita dall’artista: avere una propria opinione, una propria idea delle cose; imparare a pesare le parole alla luce dei fatti; discriminare ciò che è puro esercizio dialettico da ciò che ha rilevanza e spessore. E per questo, una nostra riflessione (vedi “takE YOuR TimE”) risulta fondamentale: siamo noi e la nostra consapevolezza il setaccio che discrimina e dà un valore diverso alle parole, alle cose, alle persone.
“takE YOuR TimE” apre anche un’altra prospettiva: quella dell’importanza di percepire ed ascoltare le nostre sensazioni, di sentire e dare riscontro alle nostre aspirazioni e tendenze più profonde ed utilizzarle come metro e setaccio del mondo. Anche perché, comunque, questi moti, queste voci che si agitano nel profondo prima o poi, in un modo o nell’altro, trovano la maniera di sgorgare, magari in tempi e modi inaspettati. È questo il tema di un’altra opera in mostra: ”ERUPTION”. Si tratta di un’opera intimista che rappresenta l’inarrestabile avanzamento di quel sentimento di resa, di sconfitta profonda che prova chi si avvede, tutto ad un tratto, di non aver vissuto la sua propria vita, cioè di non aver inseguito le proprie aspirazioni più profonde, ingabbiate e sacrificate a qualcosa che, poi, si è rivelato deludente, inappagante … e riprendendo il tema di “ARE yOu H@PPY?”, di non aver conseguito quella felicità promessa inclusa col tipo di vita che società e media ci hanno reclamizzata: sempre di corsa senza un vero perché, senza un attimo di pausa per valutare se è ciò che vogliamo veramente.
Il monito di ”ERUPTION” trova la sua conclusione nell’opera centrale della mostra: “ETHOS ANTHROPOI DAIMON”. Il titolo riprende una delle sibilline frasi di Eraclito che nella sostanza può essere reso nel motto “il carattere è il destino dell’uomo”, intendendo con carattere (ethos) il sistema, conscio o inconscio, di valori, di credenze, di idee riguardanti se stesso e la realtà, e con destino (daimon) lo scopo, la vocazione per cui uno è nato. Nel mondo greco, infatti, (vedi ad esempio il mito di Er) era diffusa la credenza che l’uomo trascorre la propria esistenza necessariamente diretto verso ciò a cui è portato, verso ciò a cui è votato. A portarlo (verso il suo destino) è il daimon, il suo demone, cioè se vogliamo, una componente del suo essere che ha sempre ben chiaro il carattere dell’uomo, impresso indelebilmente in ognuno.
E proprio questo è il messaggio di B.Zanconato con “ETHOS ANTHROPOI DAIMON”. La nostra esistenza ha uno scopo, una ragione d’essere: portare a compimento il nostro carattere, cioè la nostra vocazione e le nostre predisposizioni. Per l’artista la felicità consiste in questo: conseguire la realizzazione delle proprie capacità e vocazioni, magari lasciando una traccia del nostro passaggio. Questo tipo di messaggio non è certo nuovo. La cultura greca abbracciava questo stesso concetto (la parola stessa felicità, in greco eudaimonia, è formata dalla radice eu, che significa bene, e da daimon, destino/demone). Tuttavia, oggi questo messaggio, al di là dei proclami e delle frasi vuote di significato, va fortemente controcorrente.
Infatti, la prevalente visione materialista ed economico-finanziaria, che è penetrata nei gangli della società e dei comportamenti umani, porta a valutare ogni azione sulla base di concetti di convenienza, di ritorno dell’investimento, di remunerazione e di redditività e non contempla il fatto che le scelte, le decisioni possano essere prese sulla base di criteri di tipo personale, caratteriale. Al contrario, le scelte e le decisioni personali, per assicurare il migliore rendimento, non devono basarsi su una analisi interiore (cioè un attento esame di coscienza) mirata ad individuare la propria vocazione ma devono essere prese sulla base di una approfondita analisi delle condizioni esterne (analisi delle condizioni di mercato) atte ad individuare il proprio posizionamento e la migliore strategia di affermazione: come si trattasse di fare il lancio di un nuovo prodotto.
“Ma noi – dice B.Zanconato in conclusione – cosa vogliamo essere? Vogliamo essere l’ennesimo nuovo prodotto da esporre sugli scaffali del supermercato globale che è diventata la nostra società contemporanea, che ingloba tutto ed il contrario di tutto, proprio perché tutto può diventare mercato, oppure vogliamo dare un senso alla nostra vita, riconoscere e sviluppare le nostre predisposizioni ed affermare la nostra unicità? Questa è, per me, la vera questione a cui tutti noi siamo chiamati a dare una risposta perché ogni singola risposta ha un effetto su quella degli altri e, in generale, sulla società…”