DISINTEGRATION
Andrea Fallini
Disintegration e’ il titolo emblematico che Barbara Zanconato ha voluto dare alla raccolta delle opere prodotte nel 2013 e che si presta ad analisi ed interpretazioni a diversi livelli.
Dal punto di vista sociologico la dis-integrazione rappresenta la rottura della integrazione rispetto ad un gruppo sociale, un chiamarsi fuori da quelli che sono i paradigmi e le costruzioni etiche, morali, culturali che sono alle fondamenta, in modo più o meno implicito, dei comportamenti e delle dinamiche sociali che toccano profondamente il libero pensare ed agire del singolo. Famiglia e società sono i luoghi in cui questo processo si sviluppa.
E’ nella famiglia, infatti, che vengono poste le basi del processo di dis-integrazione. Famiglia, da intendersi come ambiente parentale, come ristretto nucleo sociale nel quale, per primo, viene ad effettuarsi, nei confronti degli membri più giovani, il fenomeno di imposizione, più o meno conscia, di una visione del mondo, di regole anche morali, che non sono sempre dichiarate come tali ma che spesso sono spacciate per usi e tradizioni secolari (oltre che familiari), di modi di vedere, di comportamenti che sono sempre stati così ed è giusto che restino così.
E’ in questo ambito che, sin dall’infanzia, si attua il meccanismo di modellazione inconscia della visione etico-morale del nuovo componente, non riconosciuto idoneo o degno di una propria visione delle cose e del mondo, di una propria opinione che possa eventualmente mettere in discussione se non capovolgere quella precostituita; non riconosciuto in possesso di un proprio gusto personale, anche perché risulterebbe scomodo prenderlo in considerazione.
Per questo diviene non solo funzionale ma anche necessaria una apposita fase di istruzione, nella quale marcare a livello inconscio e incidere nel profondo le regole morali e comportamentali nonché le gerarchie che poi ne dovranno guidare l’esistenza all’interno del gruppo sociale.
Di conseguenza, il piccolo non viene visto come un giovane adulto, con proprie visioni e predisposizioni da accettare e se possibile sviluppare, ma, al contrario, viene considerato e trattato come un cucciolo, incapace di una propria elaborazione del mondo, da crescere, educare ed istruire, cioè da far diventare adulto, secondo criteri e canoni precostituiti e standardizzati.
Questo certamente non supporta lo sviluppo di una solida autostima del ragazzo, nel quale si instilla il dubbio, il senso di incapacità e di inadeguatezza ad affrontare la vita senza l’apprendimento delle regole impostegli in famiglia. Inoltre, chi non si adegua, chi non si omologa, anziché venir compreso, accettato e stimolato nella sua diversità, finisce per diventare il cattivo, il diverso, magari anche l’invidioso e diventa spesso oggetto di azioni che fan leva sul senso di colpa per cercare di ricondurlo nei ranghi, schiacciandone la sua già toccata autostima sotto colpe morali che non fanno altro che amplificare la sua insicurezza.
E’ poi in società che questo processo si completa. Infatti, coi compagni, il bambino non può che ricercare l’approvazione e l’accettazione, pagate a prezzo della rinuncia alla propria individualità, per seguire i comportamenti e le logiche tipiche del gruppo (branco).
Con gli educatori le cose non sono poi tanto diverse: la capacità e lo spirito di socializzazione sono valori che vengono diffusi agli allievi sin da piccoli, spesso oltre il limite del rispetto reciproco. Inoltre, gli attuali sistemi scolastici, basati su strumenti e metodi di insegnamento standardizzati, hanno cancellato il ruolo fondamentale dell’empatia che potrebbe, o dovrebbe, stabilirsi tra insegnante ed allievo, a favore di una meccanizzazione (per non dire burocratizzazione) dei processi di insegnamento, di apprendimento e di valutazione che disconoscono il principio della diversità personale.
A questo si aggiungono anche i mezzi di comunicazione di massa, altra componente fondamentale della società moderna, che certamente non agevolano e supportano lo sviluppo della coscienza individuale. Al contrario, la società, la comunicazione e la pubblicità ci vogliono, se possibile, tutti uguali, in modo da poter dirigere trend, comportamenti e scelte (non solo quelle di acquisto). Per non parlare poi dei residui ideologici o religiosi, ancora largamente diffusi, che continuano a professare la nostra uguaglianza fisica e non solamente potenziale.
Quindi, paradigmi che, piano piano, quotidianamente, a partire dalla più tenera età, attraverso meccanismi a più livelli, si instillano nel ragazzo e mascherano la lenta e continua opera di cancellazione della sua coscienza individuale col suo corrispondente adattamento a regole e meccanismi sociali sempre più complessi, che riconducono il singolo ad un codice identificativo, ad un numero, spogliandolo così della sua unicità e della sua natura umana che, in questo contesto, risultano essere complementi, qualità ridondanti, se non inutili, eventualmente da esercitare solo (cosa peraltro facoltativa) nell’ambiente familiare.
Da un punto di vista più fisico e personale la disintegrazione è rappresentativa del processo di completo disfacimento, di rottura dell’unità strutturale che nel caso di Barbara Zanconato va più propriamente visto sotto l’ottica, più intima e psicologica, della disgregazione di una visione del mondo, su cui si erano basati ideali e speranze, azioni e comportamenti, cioè i principali elementi costitutivi della personalità. Disintegration, quindi, perché si è rotto il meccanismo di cancellazione della coscienza individuale a favore della visione collettiva che ci vede tutti uguali e quindi numeri.
Ci si accorge della diversità e unicità delle persone, in primis, di se stessi; della diversità delle possibilità e delle situazioni. Ci si avvede che il paradigma si basa su assunzioni, ipotesi ed assiomi non solo non accettati, ma nemmeno presi in considerazione, anche perché mai prospettati come tali. Si realizza che la visione si fonda su principi ed ideali non accolti ma assorbiti in un lungo processo di diffusione inconscia. Inoltre si osserva che questi sono continuamente enunciati ma altrettanto spesso svuotati del loro significato e, peraltro, ancora più spesso, smentiti da azioni e comportamenti. La presa di coscienza di questi aspetti determina la rottura (disintegration) della visione del mondo in quanto si scopre che tale prospettiva, che aveva a lungo diretto atteggiamenti e sentimenti, non è più sentita come propria ma appare come un estraneo a cui si ha dato retta troppo a lungo.
Disintegration diviene allora il punto di svolta: il crollo di un sistema di credenze e di un modo di vedere le cose, il momento di rigetto di un corpo ora sentito come estraneo. E’ un momento di solitudine e di sconforto, nel quale si fanno i conti con se stessi. Si scopre che, per troppo tempo, ci siamo dimenticati di noi stessi e del nostro sentire, persi alla rincorsa di aspirazioni non nostre, bloccati da lacci e catene camuffati da invisibili ma lunghissimi cordoni ombelicali, rinchiusi entro solide sbarre che limitavano la percezione della ricchezza e diversità del mondo.
Tutto si è rotto e nel contempo inizia una lenta ma profonda discesa in se stessi, a cui fa da contraltare un altrettanto profondo senso di solitudine.
Come quello delle madri, a lungo incitate ed accompagnate verso il sogno di una maternità ideale, fatta di soli momenti romantici, ma che poi, passata l’eccitazione della nuova nascita, si ritrovano, spesso sole, ad accorgersi che le cose non stanno come erano state dipinte.
Ma questo rinchiudersi e andare alla ricerca di se stessi offre l’inestimabile opportunità di percepire la parte più vera di noi, di attingere a quella inesauribile fonte di energia vitale presente nella parte più profonda di ognuno.
E’ qui che arriviamo ad entrare in contatto con la vera persona che siamo ma che non abbiamo mai avuto modo di conoscere, con quella parte di noi che veramente ci appartiene e ci rappresenta, ma che, senza accorgercene, per troppo tempo abbiamo tenuta nascosta, legata, imbavagliata, soffocata sotto strati e strati di sedimenti. Disintegration e le conseguenti macerie sono sì un fatto traumatico, persino tragico, ma d’altro canto diventano una tappa ineludibile e fondamentale di un nuovo processo, anche artistico oltre che umano, di riappropriazione e ricostruzione della propria personalità, della propria coscienza, della propria visione e, per l’Artista, anche della propria strada creativa.
Ognuno deve riordinare il caos che ha dentro di sé: questa la frase programmatica nascosta in una delle sue opere, così come è, spesso, nascosto il caos interiore di molti di noi. D’altro canto questo processo di riorganizzazione interiore non può iniziare senza che le macerie siano tolte, sia fatta pulizia di quanto prima era in piedi ed è crollato per mettere a nudo quanto di unico e prezioso era nascosto. E per questo, tutto viene vagliato, passato al setaccio di una diversa sensibilità, in modo da separare quanto ora risulta essere uno scarto, un refuso, da quanto può ancora essere utile ad alimentare la fiammella rimasta accesa e farla diventare un fuoco ardente, in modo da riedificare una nuova, davvero propria, visione di se stessi, del mondo e delle cose.
Disintegration, la raccolta delle più recenti opere di Barbara Zanconato, è tutto questo: un inconscio ma lucido diario interiore in cui si delineano i vari momenti di questo cambio di prospettiva. Un percorso sincero, intimo e autobiografico, ma, proprio per questo, coinvolgente ed universale in quanto colpisce dritto la coscienza di ciascuno di noi.
Interessante, infine, un altro aspetto: a complemento delle opere più recenti vi è un piccolo dipinto risalente al 2009, mai presentato al pubblico in cui si può leggere la perfetta simmetria tra la simbologia espressa nell’opera ed il successivo percorso personale, psicologico e creativo dell’Artista, cioè quella Disintegration, che al tempo doveva ancora maturarsi ma che la sua sensibilità artistica già percepiva ed era in grado di raffigurare. Questo introduce nella nostra discussione un ulteriore intrigante elemento: la capacità dell’arte di cogliere oltre e di preannunciare, nel senso più etimologico del termine.
In quest’ottica, l’Artista diviene una specie di sciamano, lo strumento, inconscio, di un potere autonomo che si manifesta attraverso la sua opera; in quanto tale, l’Artista ha la capacità di rappresentare ciò che non solo non c’è ma che deve ancora materializzarsi, ha la capacità di rendere visibile a tutti ciò che non risulta chiaro nemmeno a se stesso. E’ la sua sensibilità, che potremmo definire magica, ad aprire a mondi ed atmosfere nuovi in quanto non ancora materialmente presenti.
Con Barbara Zanconato, l’Artista ritorna ad essere espressione della insondabile complessità del mondo, della sua parte arcana ed inesplicabile, che può essere percepita da quelle sensazioni ed intuizioni profonde che Lui (Lei in questo caso) riesce ad intercettare: quando questo accade, come diceva già André Breton, è sempre “arte magica”.